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mercoledì 15 luglio 2020

Recensione: "Dimmi l'amore che cos'è" di Cecile Bertod

Come vi avevo promesso, oggi vi parlo di "Dimmi l'amore che cos'è", il nuovo e spassosissimo romanzo di Cécile Bertod, per Leone editore.



Quarta di copertina:

Mable Hope è a un passo dall'esaurimento nervoso: nota più per le sue apparizioni sui calendari universitari che per i suoi successi lavorativi, è alle prese con gli appuntamenti al buio organizzati da suo padre e con gli esami di fine anno. In più, c’è l’assegnazione del Premio Michael Moore di cui occuparsi. Un fondo destinato alla ricerca che verrà affidato alla facoltà che presenterà il progetto più interessante. Lei però se ne era completamente dimenticata e non ha neanche uno straccio di relazione da consegnare alla commissione. Così, per non rischiare di perdere la cattedra, prende dal cestino dei rifiuti un mucchio di vecchie lettere mai aperte e le porta in direzione, fingendo che siano sue. Si accorge troppo tardi, però, di aver proposto all’università di finanziare un’assurda ricerca sull’amore. È già convinta che la cacceranno, quando scopre che invece è proprio lei ad aver ricevuto i fondi della Michael Moore, battendo il responsabile del dipartimento di Fisica, l’insopportabile professor Gardner, che quell'anno era sicuro di vincere con la sua teoria sulle stringhe. Ora, Mable ha tre milioni di dollari per scoprire che cos’è l’amore, ma non ha la più pallida idea di come fare. Be’, da dove iniziare? Le serve qualcuno da far innamorare.


Mable Hope ha una sola aspirazione nella vita: essere lasciata in pace. Il mantello dell'invisibilità sarebbe probabilmente l'oggetto magico delle sue brame, se solo lei fosse un pelino più nerd.
Il problema è che Mable è bella, di una bellezza vistosa che non ha remore nel mostrare, è brillante con una laurea a pieni voti in antropologia in una delle migliori università americane, ed è pure comunicativa, talento che la rende una delle docenti più amate dell'ateneo.
Una così non si può fingere di non vederla.
Anche se le sue competenze vanno di pari passo alla sua totale incapacità di gestione personale e lavorativa. Esce per tutti gli appuntamenti al buio rimediati da suo padre, salvo poi scaricare il malcapitato di turno il giorno dopo, perde qualunque cosa e rispettare una scadenza sembra una missione impossibile. Genio e disordine.
L'esatto opposto di Stephen Gardner. Lui è un genio di quelli che pretendono di essere riconosciuti tali, un curriculum vitae vivente, saccente, altezzoso e assolutamente ordinato. Al millimetro. Il destinatario giusto per i tre milioni di dollari di borsa di studio, almeno secondo lui.
Sarà proprio la Michael Moore a far impattare Mable e Stephen, due personalità inconciliabili, che definire opposte sarebbe un eufemismo. Carta e fuoco che si bruciano e si alimentano l'un l'altra, in uno scambio di battute taglienti, dispetti al limite della denuncia, sabotaggi e inaspettate confidenze.

Devo dire che quando ho conosciuto Stephen ho iniziato a tremare, con il sospetto che questo sarebbe stato il primo romanzo di Cecile Bertod a non piacermi. Sono una che usa la matematica solo per i numeri di pagina ai romanzi, le quantità nelle ricette e le date. E non posso assicurare di non aver fatto disastri anche in tal senso.
Insomma, potevo mai lasciarmi conquistare da un professore di Fisica, snob e con un ego smisurato?
La risposta è: se è uscito dalla penna di Cecile Bertod probabilmente sì.
Come Mable, anche Stephen ha una caratterizzazione un po' a cipolla. Bisogna far scorrere le pagine per fargli togliere uno strato. All'inizio Stephen è banalmente un infame pure un po' sessista, poi scopriamo che è bello, una specie di Chris Hemsworth geniale, e poi il colpo di grazia: è nerd. Il che, ammettiamolo, cambia completamente la caratterizzazione, perchè non puoi essere poi così noioso se ti piacciono gli Avengers.
Ok, torno seria.
(Quando si tratta di questa autrice mi escono fuori sempre le recensioni più fuori di testa del blog, ma spero vi piacciano comunque.)
Stephen è un uomo chiaramente egocentrico, ma che lotta per mantenere la propria stabilità, evita di lasciarsi distrarre, evita le relazioni pericolose con donne che non rispondono ai suoi canoni ideali, perché un po' lo sa che potrebbero destabilizzarlo.  E per questo evita Mable, almeno finchè può. Ed è dal primo istante in cui il professore di fisica e la professoressa di antropologia sono costretti a interagire per più di qualche minuto che le vite di entrambi sembreranno vittime di un terremoto. Scosse, paura, confusione, adattamento.
Mable e Stephen saranno costretti a rendersi conto dei mutamenti che l'influsso dell'altro ha portato. E se non fosse una catastrofe? Se un po' di disordine a Stephen non facesse poi così male?
Se a Mable facesse bene qualcuno in grado di prendere le briglie delle sue paure?
Il personaggio di Stephen mi è piaciuto molto, perché stata una scoperta, una sorta di conquista dato che mi ha costretta a cambiare opinione su di lui. (Anche se ha un caratteraccio...).
Mable, in confronto, è un puzzle.
Durante il romanzo ho faticato a capirla, mi hanno confusa le sue tonnellate di bugie, di fughe rocambolesche e alibi poco credibili. Mable Hope è una contraddizione vivente, perché se all'apparenza è una donna molto attraente con un carattere vivace e delle grandi competenze, in realtà lei percepisce se stessa come un totale disastro, mai all'altezza delle aspettative altrui e con il terrore di non sentirsi mai abbastanza, a tal punto da mentire persino sui suoi successi perché tanto verranno demoliti anche quelli.
Una protagonista complessa (e pure un po' complessata), che la Bertod riesce a rendere familiare per via del suo ormai celebre stile chick-lit, ricco di battute pungenti, paranoie logorroiche e un romanticismo che permea spesso le righe palesandosi solo in alcune, adorabili, scene.
Ho letto molti libri di Cecile Bertod, sono una fan di Trudy e Sophie, donne forti abituate a soffocare le proprie fragilità, Mable è un po' il contrario forse per questo mi ha disorientata, è una ragazza che si lascia sopraffare, vive con la sensazione di essere sempre sul ciglio del baratro e si dimena per non cadere senza rendersi conto che lei un suo equilibrio l'ha già. O almeno lo avrebbe se non si lasciasse sempre influenzare e tirare dalle opinioni altrui, della famiglia, di persone come Stephen che di lei non sanno nulla o che si sono lasciate imbrogliare da tutte le sue bugie. Difficile accostarsi a Mable, ma anche difficile non trovarla tenerissima una volta che la si è capita. 

"Dimmi l'amore che cos'è" è forse il romanzo più a briglia sciolta di Cecile Bertod, in cui le scene divertenti tipiche del chick-lit sono spinte più al limite, in cui le battute non sono mai lesinate, in cui i personaggi ne combinano davvero di cotte e di crude. Bisogna amare il chick-lit per apprezzarle (le commedie rosa sono un po' diverse). Comunque, tutti sintomi di una creatività lanciata in corsa, di una delle autrici che trovo più spassose e imprevedibili della narrativa romantica.
Questo romanzo è un Hate to Love da manuale, con due protagonisti che cominciano con l'odiarsi così tanto da meditare il delitto perfetto e poi sconfinano in una conoscenza involontaria, che li spinge ad aprire gli occhi, a cancellare i pregiudizi. E a concedersi un amore un po' folle, ma anche molto tenero.

Ma, alla fine, l'amore che cos'è?
Tra le pagine se ne discute abbastanza, con tanto di bizzarri esperimenti a metà tra scienza, sociologia e pura disperazione accademica.
Siamo un ammasso di cellule impazzite? Siamo vittime di stimoli neuronali? Stai a vedere che il cuore non esiste e parte tutto dal cervello, che non è poi così intelligente se ci fa innamorare di persone con cui il lieto fine non è affatto assicurato. Ovviamente, non è così per Stephen e Mable.

Cos'è per voi l'amore?

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