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domenica 30 settembre 2018

Recensione: "La stagione arida di Minerva Jones" di Francesca Borrione

Il romanzo di oggi è di un'autrice bravissima, uno dei troppi talenti in fuga che da noi non sono adeguatamente apprezzati. Ho letto tutto ciò che ha scritto Francesca Borrione e reputo assurdo che i suoi romanzi non siano più in commercio.
Abbiamo almeno Minerva Jones, che è scontata solo per oggi al 50% sul sito dell'editore.

Genere: Narrativa YA
Pagine: 226
Formato: Cartaceo
Prezzo: 15,00
Edito: Les Flaneurs


Quarta di copertina:

Minerva ha diciassette anni, gli occhi grigi di suo padre e un'ombra di capelli che pochi ricordano come fossero. Veste abiti più grandi di lei, ormai fuori moda, e cammina nei suoi consunti stivali bordeaux, ai margini di un paese e di una vita con cui non è più in sintonia. Come la Minerva Jones di Lee Masters è assetata di amore e di vita, ma niente sembra essere adatto a lei, tranne le beffe che si fanno gli altri, William e Albert primi fra tutti. Quando, dopo l'estate, torna a casa da suo padre, però, qualcosa cambia e il destino diventa imprevedibile e scostante. Tenace come un fiore che affonda le radici nel terreno più ostile, e si nutre delle gocce di rugiada che può rubare a dispetto del mattino grigio e freddo, Minerva ha un'importante lezione di vita da dare a tutti, stipata nei suoi silenzi: se «le persone sanno soltanto quello a cui vogliono credere», l'amore è più forte di tutto. E lo merita anche lei.



Minerva è un'incompresa.
E, come tutto ciò che non si comprende, genera la paura più inspiegabile, la più ridicola e spietata fobia sociale.
Minerva Jones è un'adolescente come tutte le altre. Ha un corpo che sta sbocciando di nascosto, sotto vestiti informi, occhi penetranti che tiene sempre bassi, perché se gli occhi sono lo specchio dell'anima, Minerva non mostra mai la propria interiorità. I suoi pensieri sono muti, chiusi in un quaderno che porta sempre con sé.
Minerva è sotto lo sguardo di ogni compagno e professore, di ogni vecchia pettegola del paese. Facile preda di dicerie e superstizioni. Eppure nessuno di loro la conosce davvero. La allontanano tutti, la deridono, la emarginano, perchè lei è la strega, la pazza del paese. Una ragazza che si dice abbia tentato di togliersi la vita, di togliersi di mezzo perché in fondo nessuno la vuole. 
Nessuno desidera conoscerla davvero.
Finché William, uno dei bulli della scuola, non mette mano al quaderno di Minerva e scopre la voce di quei pensieri muti. Scopre la sofferenza, la rabbia che prova chi è sempre vittima dello scherno, la voglia di brillare, nonostante tutto.
William avvicina Minerva, a piccoli passi, come si fa con un animale selvatico che decide di darti la sua fiducia. Un'accettazione che deve nascere e crescere da entrambe le parti, perché un legame tra cacciatore e vittima sembra impossibile. E invece accade che Minerva decide di fidarsi di William, di fare ciò che lui, fino a quel momento, non aveva mai fatto. Va oltre le apparenze.
Oltre il bello della scuola.
Il figlio del sindaco.
La promessa sportiva.
Oltre ciò che vedono tutti, resta solo William, un ragazzo che coltiva sentimenti mai mostrati a nessuno, nemmeno a se stesso.
E lui lascia che Minerva lo inizi alla bellezza, alla poesia, ai fiori nascosti, che crescono dove non dovrebbero, proprio come Minerva, stessa.

Una storia d'amore che travalica le differenze, le false apparenze e il pregiudizio.
Una storia moderna che sarei felice se venisse letta nelle scuole.
Le classi del liceo brulicano di vite in divenire, di persone che si stanno ancora formando, che smaniano per cercare una propria identità, tesi tra l'unicità e il bisogno d'accettazione che spinge tutti a essere standardizzati.
Minerva è un inno al non conformarsi, all'andare sempre incontro a se stessi, alle proprie passioni, qualunque esse siano. Leggere poesie a sedici anni, lasciando che parole antiche risuonino al posto del frastuono moderno, senza vergogna.
Nei limiti del lecito, non si è giusti e non si è sbagliati e sarebbe necessario solo un po' di rispetto per poter lasciar vivere chiunque, se proprio non si è intenzionati a tendere la mano, a scoprirsi l'uno con l'altro.
Il romanzo di Francesca Borrione raggiunge i limiti dell'animo umano, dalla più grande tenerezza all'egoismo più feroce, più spietato.
Minerva conosce l'abisso della violenza, generato dalla paura dei bulli che, senza freni, si trasformano in carnefici. E poi c'è l'amore, forte, che cresce come l'edera, si attacca ai muri e non si arrende. Nemmeno quando tutto sembra perduto.

Non so tra Minerva e William chi possa insegnare di più, se la vittima o l'aguzzino redento. William è il simbolo della curiosità oltre il pregiudizio, un ragazzo che non permette alla paura di frenarlo, capace di prendere anche le scelte più difficili. Will diventa protagonista quando Minerva viene messa a tacere, e non rinuncia agli insegnamenti di lei, a quei sentimenti così fragili e forti che lei gli aveva svelato.

La stagione arida di Minerva Jones può sembrare il solito romanzo sul bello della scuola e la ragazza sfigata. Invece è molto di più.
Si tratta del fiorire della propria identità, dell'accettazione di se stessi. William crede di conoscersi, perché si era adagiato sull'immagine che gli altri avevano di lui, o che desideravano avere, si era trasformato in un riflesso distorto di se stesso, prima che Minerva lo spingesse a farsi domande, a interrogarsi sui propri sentimenti, sulle proprie aspirazioni.
Gli mostra la bellezza di serre nascoste agli occhi di tutti, di giardini che sembrano morti e non lo sono, di libri che nessuno legge più.
Minerva è la minoranza che non si adegua agli altri, che accetta la propria emarginazione con un misto di orgoglio e di rabbia. L'orgoglio di chi è fiero delle proprie passioni, della propria intelligenza non sopita e la rabbia di chi subisce torti immeritati, di chi vorrebbe, forse, almeno una volta essere parte del gruppo, condividere le esperienze di chiunque altro. I Jones sono i diversi, soltanto perché nessuno si avvicina abbastanza da conoscerli e da ammettere che forse i pettegolezzi non hanno ragion d'essere.
Mi ha colpita che Minerva e suo padre si occupino entrambi d'arte. Minerva ama la poesia, suo padre è un pittore. In una società in cui ciò che conta è l'apparire, loro si occupano di ciò che si nasconde, del sentimento. Anche per questo mi piacerebbe che Minerva riuscisse ad arrivare nelle scuole, perché è lì che la cultura, paradossalmente, viene messe alla berlina. Ragazze che invece di andare in discoteca leggono, che portano gli occhiali invece delle ciglia finte. Ragazzi che credono che leggere poesie sia da sfigati. Forse hanno paura o non vedono oltre il pregiudizio. 
Chissà... sarebbe bello se nessuna Minerva Jones fosse più costretta a nascondersi.


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